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Qual è il primo apprendimento del cucciolo? Che cosa è “altro” per un cucciolo di pochi giorni? Quale rapporto lo collega alla madre?
Qual è il primo apprendimento del cucciolo? Che cosa è “altro” per un cucciolo di pochi giorni? Quale rapporto lo collega alla madre?

A cura del Dott. Maurizio Dionigi – Istruttore Cinofilo del Centro Del Chiaro di Luna Cinofilia (Cesena) –

Una mamma con i suoi cuccioli. Osservare decine di cucciolate, dalla nascita ai sessanta giorni. Osservare e trascrivere ciò che si vede; semplicemente osservare e trascrivere…… E’ da  questo che occorre partire.

Non può esistere nulla che sostituisca questo. Leggere ciò che si è osservato e cercare di capire. Qual è il primo apprendimento del cucciolo? Che cosa è “altro” per un cucciolo di pochi giorni? Quale rapporto lo collega alla madre? Come avviene la scoperta di se stesso? Quando il cucciolo scopre i fratelli e quando comincia d interagire con loro? Quando ciò che avviene fuori dal cassone in cui è nato comincia a diventare significativo? Come si trasmette la conoscenza? Come fa il cucciolo ad impossessarsi del linguaggio canino? Come vive le dinamiche sociali? Come mi accorgo che il cucciolo ha compreso cosa significa “ritualizzazione dell’aggressività”? Perché i Rottweiler sono diversi dai Golden e in che cosa? Perché ogni razza è diversa dal’altra? Quando mi accorgo che ogni cucciolo è un individuo? Quanto riesco a comunicare con un cucciolo e da quando? E’ proprio vero tutto quello che si legge e, soprattutto, come faccio a giudicare ciò che è vero e ciò che non lo è se mi mancano le risposte a questi interrogativi ?

Scusate il lungo elenco di interrogativi. Devo parlare del Rieducatore, cioè di colui che si occupa dei cani che presentano comportamenti problematici. Già… comportamenti problematici, cioè “diversi” rispetto a ciò che noi ci aspettiamo e giudichiamo, come “normali”. E’ per questo che sono partito dalla mamma con i cuccioli. Se non siamo in grado di seguire lo sviluppo del cucciolo nei primi due mesi di vita è, a mio parere, molto difficile che riusciamo ad essere Rieducatori poiché non sappiamo , per conoscenza diretta, come avviene lo sviluppo di quelle che sono premesse indispensabili per il comportamento adulto. I primi sessanta giorni sono quelli in cui si creano le premesse per la crescita del cane; in quel cucciolo, da quando nasce, prende corpo la trama delle emozioni che regoleranno le interazioni inter e intra specifiche; è all’interno della cassa parto che nasce e si sviluppa la curiosità che è motore degli apprendimenti futuri; è nella cucciolata che si crea il terreno favorevole alla socialità dell’età adulta. In una parola è nella conoscenza di questi momenti di vita che colloco le basi del ruolo del Rieducatore.

Ho voluto cominciare dall’osservazione e dall’inizio della vita del cane per sottolineare quanto siano importanti questi presupposti per una professionalità che, troppo spesso, è mal interpretata.
Ho voluto cominciare dall’osservazione e dall’inizio della vita del cane per sottolineare quanto siano importanti questi presupposti per una professionalità che, troppo spesso, è mal interpretata.

Osservare. Siamo partiti da questo, ma occorre intendersi. Osservare non è interpretare; non è spiegare i comportamenti, ma registrarli. Solo dopo avverrà la rilettura dell’insieme dei comportamenti e si cercherà di individuare che cosa, collegandoli, ne fornisce una spiegazione plausibile. Diversamente nulla ha significato. Piegare alle mie spiegazioni un comportamento del cane, qualunque esso sia, senza impiegare tempo nell’osservazione non potrà mai portare ad alcun risultato.

Ho voluto cominciare dall’osservazione e dall’inizio della vita del cane per sottolineare quanto siano importanti questi presupposti per una professionalità che, troppo spesso, è mal interpretata. Ma ora possiamo definire più compiutamente la figura del Rieducatore Cinofilo.

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I contorni che definiscono la “normalità” del comportamento del cane sono definiti dall’uomo. Questo determina il primo elemento della professionalità del rieducatore; è un imperativo etico: il rieducatore è sempre dalla parte del cane. Definendo i limiti del comportamento normale rischiamo, troppo spesso, di dimenticare che alla stessa origine della domesticazione c’è una sorta di patto non scritto secondo il quale il  cane pone al servizio dell’uomo le sue capacità e riceve in cambio la risposta ai suoi bisogni fondamentali. E’ proprio di questi ultimi che non teniamo conto nel valutare i comportamenti. Accade in questo modo che il comportamento definito come problematico sia, molto spesso, espressione di una impossibilità di adattamento alla realtà dell’uomo; questa impossibilità può essere determinata proprio dalla non risposta a bisogni fondamentali del cane. Ecco allora che la lettura delle situazioni necessita di una figura che, avendo come primo interesse il benessere del cane, parta da questa per una nuova lettura della situazione stessa. Ritengo questa una condizione fondamentale. Il cane che abbaia continuamente, che combina danni distruggendo tutto, che sporca in modo improprio, che reagisce attaccando i suoi simili o, a volte, anche le persone è un cane che soffre e il comportamento è solo espressione di una sofferenza. Quanto affermato comporta la conoscenza dei bisogni fondamentali dei cani in quanto tali, dei bisogni dei cani in quanto appartenenti ad una specifica razza e dei bisogni del cane in quanto individuo. Certo non è semplice; è una conoscenza complessa che è tanto più costruttiva quanto più è diretta. Occorre conoscere il cane in ogni suo aspetto: i principi che regolano il suo sviluppo fisico, il suo evolversi mentale e gli elementi che lo favoriscono, le caratteristiche del suo apprendere, le sue dinamiche sociali. Ogni singola razza presenta poi attitudini che non possono essere ignorate semplicemente perché esistono e rappresentano pulsioni che determinano comportamenti. Vorrei che si tenesse conto del fatto che, molto spesso, la scelta del cane avviene per motivi che nulla hanno a che fare con le attitudini presenti nelle diverse razze e questo non può che ripercuotersi negativamente sulla quotidianità  e, alla lunga, determinare problemi.

Capire il linguaggio del cane significa non dover ricorrere, ogni volta, ad una sorta di dizionario che traduca un significato; capire significa “prendere dentro” , vivere il linguaggio del cane come proprio e, attraverso questo vissuto comune, concretizzare la comunicazione empatica che, sola, ci conduce a “sentire” il cane.
Capire il linguaggio del cane significa non dover ricorrere, ogni volta, ad una sorta di dizionario che traduca un significato; capire significa “prendere dentro” , vivere il linguaggio del cane come proprio e, attraverso questo vissuto comune, concretizzare la comunicazione empatica che, sola, ci conduce a “sentire” il cane.

Un’altra caratteristica della professionalità che stiamo esaminando è la capacità di ascolto delle persone. Vediamo di chiarire. Qualunque sia la situazione del cane il cui caso ci viene sottoposto, per le persone che ci propongono la cosa quella realtà costituisce un problema; è vissuto come tale e come tale va affrontato. Ascoltare significa questo: farsi carico della situazione che ci viene proposta pesandone la gravità con la misura di chi la propone pur conservando il distacco necessario per valutarla nella sua portata reale, commisurandola però con tutto ciò che l’interessato non conosce. La capacità di ascolto implica un atteggiamento “benevolente”: devo cioè “pensare bene” delle persone che ho di fronte, e da questo bene prendere le mosse per costruire.  A questo punto occorre un accenno ad un aspetto importante della figura del rieducatore: egli deve accreditarsi quale figura professionale. Accreditarsi come colui che può collaborare per produrre un cambiamento, migliorativo, nella situazione definita come problema. Non propone miracolistiche formule, non rappresenta la soluzione ma, dopo aver analizzato il quadro proposto, collabora alla ricerca del maggior miglioramento possibile. Va ricordato che lungo il percorso per ottenere il cambiamento ognuno deve mettersi in gioco. E’ così che emerge un’altra caratteristica del rieducatore: l’onestà intellettuale con la quale si propone l’analisi della situazione; è un’analisi che coinvolge, spesso, l’intero nucleo familiare in cui il cane è inserito; è un’analisi dalla quale emerge, quasi sempre, la necessità di cambiamenti profondi nella vita di quel nucleo familiare e, anche se  tutto ciò va naturalmente parametrato con la realtà, non può essere colpevolmente ignorato poiché sappiamo bene che tentare di risolvere la maggior parte dei comportamenti problematici senza modificare la realtà in cui il cane è inserito non è possibile se si rispetta il cane. Con l’insieme di queste capacità è possibile accostarsi alla interpretazione del linguaggio del cane. Anche qui occorre capire bene.

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Tante volte, durante seminari sulla comunicazione, ho sentito educatori ripetere più che adeguatamente il significato di posture o mimiche, ma troppo spesso, gli stessi sono incapaci di interpretare il cane che hanno di fronte. Capire il linguaggio del cane significa non dover ricorrere, ogni volta, ad una sorta di dizionario che traduca un significato; capire significa “prendere dentro” , vivere il linguaggio del cane come proprio e, attraverso questo vissuto comune, concretizzare la comunicazione empatica che, sola, ci conduce a “sentire” il cane. Non sono in grado di capire se non riesco a sentire quanto di più  profondo si nasconde dietro un comportamento.

Certo tutto questo si può affrontare con lo studio dei numerosi contributi scientifici che, per fortuna, arricchiscono il mondo cinofilo  ma, come è facile capire, tutto deve essere profondamente vissuto in una esperienza, direi in una vita, trascorsa con i cani e per i cani. Dubito fortemente che senza tale esperienza gli apporti scientifici possano essere recepiti con quell’indispensabile capacità critica che li rende poi utilizzabili.

Un’ultima caratteristica del bagaglio del rieducatore è la profonda capacità di educare il cane; è indispensabile, ma anche estremamente evidente, che un rieducatore debba sapere sempre come ottenere un comportamento.

Sembra semplice, ma non lo è. Non si può fare rifugiandosi dietro alle formule di moda sui diversi metodi; occorre conoscere le regole della comunicazione, saperle utilizzare, pianificare i cambiamenti necessari e definire i passi necessari per ottenerli. Ma non è finita qui, è indispensabile la verifica di quanto ottenuto. E’ proprio sulla verifica che si può reggere l’assunzione della responsabilità del cambiamento. Vi sono problematiche per le quali il rieducatore si deve rendere garante dei percorsi attuati ed è su tale garanzia che si regge la nuova vita del cane e del nucleo familiare in cui è inserito.

Non so se sono riuscito a dare un’idea di cosa occorra ad un rieducatore; lo spero.

Maurizio Dionigi – Istruttore Cinofilo del Centro  Del Chiaro di Luna Cinofilia (Cesena)

Redazione DM.it