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UN SOLO PROGENITORE: IL LUPO

Dal lupo al cane domestico

a cura del Dott. Maurizio DionigiCentro Cinofilo Del Chiaro di Luna – Cesena (FC)

Il lupo è un animale dotato di una socialità articolata e fortemente organizzata. E’ fornito di tutti gli strumenti indispensabili a costruire tale socialità

E’ necessario cominciare dalla questione che, per quanto risolta, continua ad essere posta in discussione. Da quale specie  ha origine il cane domestico? Risolvere il quesito non significa soltanto determinare un’origine biologica, ma identificare una sorta di punto di partenza sul quale impostare un discorso che, come si vedrà, diviene fondamentale per la costruzione del rapporto tra il cane e l’uomo. Darwin ipotizzava ibridi di cane selvatico derivanti specialmente da lupo e sciacallo; Lorenz divideva i cani, facendo risalire al lupo le razze nordiche, forti, aggressive e molto fedeli, mentre allo sciacallo dorato le razze del sud del mondo, più piccole e meno affidabili. Già W. Herre, muovendo da considerazioni di anatomia ed etologia comparata, e dalla  costatazione della interfecondità tra lupo e cane sostenne che è il lupo l’antenato del cane domestico. Il giapponese K. Tsuda è giunto alla medesima conclusione attraverso l’analisi del DNA mitocondriale. Alcuni anni fa anche Verginelli, Mariani, Costantini, utilizzando dati archeologici e ricerche genetico molecolari, dimostrano, con certezza scientifica, che l’antenato del  cane domestico è il lupo, che il passaggio è databile tra i dieci e i quindicimila anni fa con un andamento diffusivo policentrico.

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Per quanto scettico, o dovrei dire aprioristico, voglia essere chi si accosta al problema direi che, mentre il pesce rosso non ha nulla  a che vedere con il cane, nel lupo e nel suo  comportamento possiamo ricercare punti in comune che, da un lato, ci aiutano a capire e, dall’altro, ci consentono di impostare un rapporto rispettoso con il cane.

Il lupo e l’organizzazione sociale

Il lupo è un animale dotato di una socialità articolata e fortemente organizzata. E’ fornito di tutti gli strumenti indispensabili a costruire tale socialità: una organizzazione di branco sorretta da una gerarchia di tipo piramidale; sottolineo che ciò significa dotata di livelli differenziati rappresentati dai gradoni della piramide stessa; una leadership condivisa  e non discutibile, conquistata con ben altro che la mera forza fisica; una socializzata gestione dei territori; un attaccamento al branco che rappresenta l’elemento vitale indispensabile ad ogni individuo; un’articolata e differenziata capacità comunicativa; un’acuta intelligenza, intesa come capacità di agire sull’ambiente proprio della specie.

Il branco

Si sono scritte molte parole sull’organizzazione sociale del lupo. Branco o famiglia? Mi pare un’ interrogativo poco significativo. Credo che  partire dalla coppia che, dopo aver cercato un territorio, ne prende possesso, e si riproduce o partire da  individui che spontaneamente si aggregano individuando un territorio, sia seguire la stessa fondamentale legge della natura: garantire la sopravvivenza della specie; e la vita in gruppo sociale organizzato è, per il lupo, condizione di sopravvivenza; l’essere animale sociale significa avvertire come fondamentale, il bisogno di aggregazione; significa organizzare la propria esistenza in funzione del gruppo; significa porre il gruppo al centro della propria esistenza. In questo contesto l’isolamento è negazione di vita  ed è un’aberrazione delle condizioni dell’esistenza: malattia, vecchiaia, trasgressione delle regole ne possono essere la causa; difficilmente una scelta. Famiglia allargata o gruppo di individui il branco è una organizzazione sociale che ha le sue regole. La struttura gerarchica ne è alla base: non solo la coppia alfa, ma una precisa distribuzione di livelli rappresentati dai gradoni della piramide alla base della quale, in maniera indifferenziata si collocano i cuccioli. La leadership della coppia alfa è determinata da elementi complessi che solo una visione superficiale attribuisce alla forza fisica; certamente prestanza e forza fisica hanno rilevanza, ma non inquadrate in un contesto di sopraffazione dove domina la violenza; la forza, sorretta dall’intelligenza, ha  precise finalizzazioni: la prima è da ricercarsi nella trasmissione del miglior patrimonio genetico rappresentato appunto da quello posseduto coppia alfa, unica a riprodursi; le altre femmine del branco mettono in atto false gravidanze per provvedere all’allattamento della prole se dovesse capitare qualcosa alla femmina alfa; altro elemento essenziale che rende la leadership condivisa è quel insieme di capacità che definisco “previdenza”. La coppia alfa, attraverso la propria intelligenza, esperienza e forza è in grado di individuare il territorio migliore in cui vivere, identificare le prede da abbattere, organizzare la caccia, mantenere ordine nel branco, partorire ed allevare la prole. In altre parole è in grado di provvedere alle molteplici esigenze del branco. Questa è la ragione per la quale mentre tra i componenti collocati ai livelli inferiori è costantemente in atto una sfida tendente a conquistare il rango superiore, la coppia alfa gode di una relativa stabilità che viene posta in discussione solo quando condizioni oggettive incrinano la capacità della coppia di provvedere al branco. Questo significa che la struttura gerarchica è funzionale alla sopravvivenza stessa del branco e non necessita di imposizioni. Tutto questo richiede un livello elevato di intelligenza che si esprime in un elaborato codice comunicativo in cui mimica, posture e comunicazione  vocale compongono un linguaggio raffinato in grado di esprimere una pluralità di emozioni che si collocano, anticipandoli, come propulsori di comportamenti. Non dobbiamo pensare ad una comunicazione grezza e rudimentale, al contrario il codice comunicativo è così raffinato da organizzare, ad esempio, una battuta di caccia distribuendo ruoli e posizioni che i singoli individui assumono e mantengono. Possiamo anche evidenziare un livello ancora superiore che si concretizza nella ritualizzazione dell’aggressività. E’ questo un formidabile meccanismo per il quale gli scontri vengono trasformati in rituali incruenti durante i quali rivalità che potrebbero portare a danni rilevanti per i due contendenti, si risolvono in situazioni nelle quali mimica, vocalizzi e posture permettono di raggiungere una soluzione condivisa ed accettata dai contendenti.

Organizzazione sociale del lupo: un’organizzazione di branco sorretta da una gerarchia di tipo piramidale

E’, ancora una volta, un mirabile quanto sorprendente meccanismo per la conservazione della specie. E’ utile osservare come quest’insieme di capacità presenti nel lupo siano un insieme inscindibile di patrimonio genetico e apprendimento. Occorre, per comprendere, seguire lo sviluppo del cucciolo. Dalla nascita il cucciolo vive i primi giorni percependo come “altro da sé” unicamente la madre che, essendo fonte di soddisfazione dei suoi bisogni fondamentali, è percepita come tale, mentre  i fratelli non sono altro che un’estensione dell’io, attraverso la quale, proseguendo nella crescita, il cucciolo tende a scoprire se stesso. Assistiamo, indicativamente dal primo al decimo giorno, ad una fase interamente propriocettiva, rivolta esclusivamente alla scoperta di se stesso nella quale tutte le azioni esercitate sui fratelli, dallo scavalcamento alla suzione di parti del corpo, hanno come unico scopo la scoperta di se stesso. E’ un momento nel quale l’ambiente esterno non esiste, la tana è il solo luogo delle sicurezze e il resto non è percepibile. E’ un momento importantissimo per lo sviluppo del cucciolo perché si costruiscono le premesse per lo sviluppo delle successive capacità.

Il rapporto con la madre permea di sé la vita dei piccoli; progressivamente, con il crescere delle capacità, i cuccioli iniziano ad impegnarsi in vere e proprie interazioni con i fratelli, tutte impostate, come in un regolamentato gioco di ruolo, sulla sperimentazione di se stessi in dinamiche sociali tendenti a determinare una scala gerarchica. La madre che continua ad essere oggetto della scoperta e delle richieste del cucciolo ha una fondamentale funzione nell’insegnare le modalità comunicative e, soprattutto, nel trasmettere la capacità di ritualizzare l’aggressività.

Quando il cucciolo esagera, ad esempio, la madre può sbuffare, ringhiare, allontanare il piccolo con un colpo di muso, mostrare i denti sino ad arrivare a “mordere l’aria” a pochi millimetri dal cucciolo. Potremmo interpretare tutto questo come insegnamento delle basi del linguaggio ed è un insegnamento assolutamente efficace: l’apprendimento è garantito. Quando i cuccioli raggiungeranno, indicativamente il ventesimo giorno, usciranno dalla tana e comincerà per loro un’altra storia lungo la quale mettere a frutto gli insegnamenti ricevuti. Dallo spazio di sicurezza della tana, ora i cuccioli hanno a disposizione un micro territorio in cui iniziare la sperimentazione delle dinamiche sociali con tutti gli adulti del branco che, da questo momento, divengono tutti corresponsabili della crescita dei cuccioli, sia per lo sviluppo delle capacità sociali, sia per l’apprendimento dei modi di vita del lupo. Il micro territorio è, a tutti gli effetti, una palestra di vita. I cuccioli, attraverso il gioco, sperimentano le diverse dinamiche sociali e, imitando gli adulti e con dinamiche imperniate sull’alternarsi di tentativi, errori e successi, apprendono i primi rudimenti della caccia. Il territorio degli adulti è  loro precluso per un lungo periodo e quando potranno entrarvi, facendo parte del branco ad ogni affetto, saranno perfettamente attrezzati alla vita del lupo: conoscenza delle regole sociali, rispetto delle gerarchie, capacità di comunicazione, abilità di caccia. Certo, mancherà loro l’esperienza che la vita provvederà a fornire, ma gli strumenti di base per affrontarla, saranno completamente in loro possesso.

La domesticazione

E’ necessaria una premessa. Pensare all’evoluzione come processo proprio delle singola specie è chiaramente fuorviante. L’intero universo partecipa, da sempre, ad uno straordinario movimento coevolutivo nel quale specie tra loro diverse partecipano ad un destino comune che, per definizione, tende a migliorare le condizioni di vita di ciascuna. Non  fanno eccezione l’uomo e il lupo. E’ praticamente impossibile individuare una ragione per la quale l’incontro tra uomo e lupo ha assunto l’andamento che vedremo se non si considera il potenziale miglioramento che questo connubio avrebbe potuto portare ad entrambi. Un avvicinamento tra le due specie è ipotizzato tra i 135000 e i 76000 anni or sono (Wayne), ridotti poi ad un periodo variabile da 40000 a 16000 anni (Savolainen) e collocato infine tra i 16000 e i 10000 (Vergineli ed altri). Quello che assume particolare rilevanza è il fatto che i tempi di tale avvicinamento sono senz’altro molto ampi e caratterizzati da andamenti molto lenti prima di giungere alla domesticazione propriamente detta. Se definire possibili datazioni non è impossibile, è quanto meno difficile ipotizzare le modalità di questo incontro. La mia è una possibile interpretazione che, sino a quando non giungeranno documentate smentite, ha le caratteristiche della verosimiglianza. Il lupo e l’uomo, all’interno di una ambiente caratterizzato dall’ultima glaciazione (da 70000 a 12000 anni or sono) rappresentavano l’uno per l’altro potenziali prede e predatori e l’ostilità del contesto li rendeva reciprocamente diffidenti con  un comportamento che, possiamo immaginare, caratterizzato dal cercare di evitarsi l’un l’altro. In età Mesolitica, abbiamo ancora un sostanziale nomadismo che, con il finire dell’ultima glaciazione, tende a cedere il passo ad una sempre maggiore sedentarietà anche se temporanea; i cacciatori-raccoglitori affrontano i primi embrioni di proprietà, connessa alla sedentarietà stessa. Tale modo di vita si svolge in rifugi, stabili per lunghi periodi, che possiamo individuare in grotte naturali, con la presenza di piccoli agglomerati umani resi visibili dal fuoco. Un agglomerato sociale la cui vita è, per di più, illuminata e quindi ben visibile non poteva non attirare l’attenzione di un altro agglomerato sociale rappresentato dal branco di lupi.  Occorre riflettere su tempi molto ampi, ma non è difficile ipotizzare che animali dotati di un elaborato sistema sociale e di una  viva intelligenza provassero una forte curiosità per quel “branco umano” che potevano osservare illuminato dal fuoco pur rimanendo nascosti nel buio circostante ed è, probabilmente, questa curiosità che ha progressivamente ridotto le distanza tra il lupo e l’uomo che, dal canto suo, si percepiva più sicuro perché protetto proprio da quello stesso fuoco e quindi tollerava la presenza del lupo ad una distanza sempre più breve. Il trasferimento del gruppo umano –  si ricordi che la stanzialità era ancora temporanea – lasciava un  territorio che, esplorato dal lupo, poteva portare alcuni vantaggi: resti commestibili, spazi riparati e il suolo ancora caldo per il fuoco acceso fino a poco prima. Credo che la presenza di questi vantaggi abbia portato il branco di lupi a seguire gli spostamenti del gruppo umano. Progressivamente la curiosità ha  superato la reciproca  diffidenza per cedere all’interesse e questo deve aver condotto ad una progressiva riduzione delle distanze tra i due branchi. E’ proprio dalla riduzione delle distanze e dal progressivo superamento delle diffidenze che tutto ha inizio e, da queste premesse, tutto può essere accaduto: dall’uomo che ha fornito cibo al lupo per avvicinarlo, a cuccioli di lupo che sono entrati nello spazio umano per nutrirsi o  qualunque altra dinamica possiamo  e vogliamo  immaginarci. Qualunque sia la dinamica, le basi della domesticazione sono state poste. Se seguiamo lo scorrere del tempo e restiamo nel contesto disegnato giungeremo al momento in cui le distanze vengono annullate e lupi, che chiameremo domestici, e uomini condividono gli stessi spazi. Non importa se ci immaginiamo lupi adulti particolarmente mansueti, magari rimasti isolati dal branco, o se ipotizziamo cuccioli sfamati e cresciuti dall’uomo, ciò che conta è la condivisione degli spazi e la conseguente vicinanza. Certamente il “lupo domestico” aveva il suo buon utile in tale vicinanza, ma non deve essere trascorso molto tempo perché anche l’uomo individuasse il proprio vantaggio dalla vicinanza del lupo; due aspetti per tutti: la facilità del lupo nell’individuare e seguire le tracce della selvaggina e la prontezza con la quale il lupo poteva avvertire l’avvicinarsi di potenziali minacce per sé e, di conseguenza, per l’uomo. E’ questa reciprocità di vantaggi che, a parer mio, determina i passaggi successivi. Primo tra tutti la sottoscrizione di un implicito patto tra l’uomo e il lupo: io, uomo, soddisfo i tuoi bisogni di cibo, calore, riparo e tu “lupo domestico” collabori nella caccia e poni la tua vigilanza a guardia dei miei spazi.

Ritualizzazione dell’aggressività. E’ questo un formidabile meccanismo per il quale
gli scontri vengono trasformati in rituali incruenti durante i quali rivalità che potrebbero portare a danni rilevanti per i due contendenti, si risolvono in situazioni nelle quali mimica, vocalizzi e posture permettono di raggiungere una soluzione condivisa ed accettata dai contendenti.

Questo è quello che possiamo identificare come inizio del processo di domesticazione che si realizza, compiutamente, quando una femmina di “lupo domestico” partorisce ed alleva i propri cuccioli in uno spazio condiviso con l’uomo. E’ in quei cuccioli che vedo l’apparire del cane domestico. Tutto ciò implica una convinzione fondante: la domesticazione è frutto di scelte condivise e non di sopraffazione di una specie sull’altra; ritengo che nulla di ciò che ha condotto alla relazione tra l’uomo e il cane si stato, in origine, violenza. D’altra parte è difficilmente immaginabile forzare un lupo, sia pur domestico, a seguire la traccia di una preda, collaborare alla  sua cattura e cederla poi all’uomo; così come non sono pensabili forzature per ogni altra funzione. Questa visione delle cose ha determinato e determina  tutto lo svolgersi della mia vita con il cane e del mio discorso sul cane: alla base, sin dalla domesticazione, pongo il rispetto per l’alterità animale che considero, allo stesso tempo, motore della coevoluzione e scelta etica ai tempi nostri.

 

Maurizio Dionigi

 

Redazione DM.it