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A cura di Veronica Berardi

Cercando sul dizionario la definizione della parola curiosità si può leggere che quest’ultima consiste nel piacere di accrescere il proprio sapere e di fare nuove esperienze. Io aggiungerei che senza curiosità ciò che chiamiamo “sapere” neppure esisterebbe, nel senso che non saremmo andati oltre quello che stava davanti al nostro naso. Esistono però persone che fanno di questa caratteristica il loro tratto distintivo e ci permettono di rispondere ad interrogativi considerati di second’ordine dalla maggior parte della gente. E’ questo il caso di Jeffrey Moussaieff Masson, prima professore di sanscrito all’Università di Toronto, poi psicoanalista di spicco e infine studioso di psicologia animale. J.M. Masson nel 1997 ha scritto, spinto dalla curiosità circa il mondo emotivo dei cani, “Dogs Never Lie About Love”, libro tradotto e pubblicato in Italia nel 2010 da Il Cairo Editore col titolo “I cani non mentono sull’amore”

A dirla tutta l’autore si era già interessato ai sentimenti e alle emozioni degli animali selvatici e aveva scritto “Quando gli elefanti piangono” in collaborazione con Susan McCarthy. Tuttavia, all’epoca aveva escluso gli animali domestici perché aveva ritenuto che la purezza delle loro emozioni potesse essere in qualche modo “contaminata” dalla loro vicinanza all’uomo. In “I cani non mentono sull’amore” Masson si pone e ci pone una serie di interrogativi come: gioia e delusione sono le stesse per uomini e cani? Un cane può provare emozioni inconsce? Che cosa sogna? Perché i cani sono pura emozione? Tutte domande volte ad esplorare cosa sono le emozioni
per i cani e quanto siano simili a quelle umane. Ad accompagnare Masson nel viaggio all’interno della sfera emotiva canina vi sono Sima, Sasha e Rani, i suoi tre cani. Perché tre? Perché “era chiaro che uno solo era troppo poco, mentre quattro erano troppi; una coppia era banale, ma tre, ah, con me alla testa, era l’inizio di un branco, e un branco era interessante”. Così, grazie alle sue tre compagne di viaggio, l’autore non solo riesce a trovare conferma a molte sue teorie, ma si interroga anche su se stesso. Come quando Rani,
dovendo scegliere tra tornare al richiamo di Masson o cercare di ottenere del cibo da una famiglia intenta a fare un picnic, opta per la seconda opzione: “Mi guardava come se non mi avesse mai visto prima di allora, mentre la famigliola mi fissava come se stessi cercando di appropriarmi di un cane che non era mio, lasciando intendere che dovevo dimostrare che apparteneva a me. Ero indignato:
certo che era mia. <<Su, Rani, andiamo>>. La sua espressione era inequivocabile: <<Qualcuno per caso conosce questo tale, o sa per quale motivo mi chiama con questo strano nome?>>. Ero molto in collera. (…) E per quale motivo io mi sentivo così umiliato? Come mai penso che Rani voglia frustare la mia volontà, invece di capire che si comporta semplicemente da cane?”. Nel libro non c’è spazio solo per il suo branco,ma anche per una serie di aneddoti raccontati da altri, per storie attinte dalla letteratura e da studi scientifici. Fino ad arrivare al capitolo conclusivo, intitolato suggestivamente Conclusioni. Alla ricerca dell’anima del cane. Ricerca, appunto. Non
scoperta, non ritrovamento, non dissezione. Perché se ci si vuole approcciare a qualcosa di così insondabile lo si può fare solo in punta di piedi, senza pretendere di fornire risposte valide per tutti. Ed è forse questa la caratteristica più apprezzabile del libro di Masson: non voler fornire delle risposte sempre e comunque, ma chiedersi con curiosità come stanno realmente le cose ed avanzare delle ipotesi. Le belle risposte, quando e se possono essere date, sono appaganti, ma sono le belle domande a dare il via ai viaggi più interessanti.

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Redazione DM.it