Il rispetto per il cane: complessità che parte da lontano

A cura del Dott. Maurizio Dionigi – Istruttore Cinofilo del Centro Cinofilo Del Chiaro Di Luna (Cesena) –

 

C’è una profonda esigenza di rispetto che deve prendere le mosse dalla consapevolezza della coevoluzione di cui siamo protagonisti da quindicimila anni.

C’è una profonda esigenza di rispetto che deve prendere le mosse dalla consapevolezza della coevoluzione di cui siamo protagonisti da quindicimila anni.

Il rispetto del cane parte da lontano. Tutto ciò che si è opposto ai metodi coercitivi (metodo gentile, cognitivo, emozionale, relazionale….) non è che un modo per affermare la necessità di rispettare il cane. L’affermazione è giustissima: c’è una profonda  esigenza di rispetto che deve prendere le mosse dalla consapevolezza della coevoluzione di cui siamo protagonisti da quindicimila anni. Ma il rispetto esige alcune condizioni che sorgono prima della scelta di ogni metodologia educativa. La prima istanza si rivolge agli allevatori di cani di razza pura: ogni esemplare, a qualunque razza appartenga, è quello che lo standard ci ha consegnato. Lo standard non è una descrizione di caratteristiche opzionali  tra loro indipendenti, ma è l’insieme di un’armonica “opera d’arte” costituita da una forma corrispondente mirabilmente ad una funzione. Un’opera d’arte nella quale tutti gli elementi concorrono all’insieme con un’estrema attenzione ai dettagli. E’ così che aspetto, ossatura, dimensioni, arti, angolazioni, cranio, coda, lunghezza e tessitura del pelo, presenza o assenza del sottopelo, ampiezza della gabbia toracica, conformazione del piede, in breve tutto ciò che disegna una morfologia, è strettamente correlata ad una specifica funzione che è contemporaneamente supportata da un attento dosaggio delle diverse componenti del carattere: tempra, docilità, aggressività, vigilanza, territorialità, socialità…..

Allevare è però compito complesso. Tenere insieme tutti i molteplici aspetti che selezionano il cane è, spesso, troppo difficile ed ecco che pseudo allevatori, con motivazioni che non li giustificano affatto, scindono la complessità in operazioni semplici e perseguono le parti anziché il tutto : cane da lavoro o cane da bellezza.

Allevare è però compito complesso. Tenere insieme tutti i molteplici aspetti che selezionano il cane è, spesso, troppo difficile ed ecco che pseudo allevatori, con motivazioni che non li giustificano affatto, scindono la complessità in operazioni semplici e perseguono le parti anziché il tutto : cane da lavoro o cane da bellezza.

Dando un’immagine concreta a quanto sostengo: un labrador è un cane che corrisponde, per morfologia e carattere, a quello che lo standard stabilisce. Rispettare il cane significa, per chi alleva Labrador , prima di tutto rispettare lo standard e offrire ai cinofili un meraviglioso cane perfettamente adeguato alle tante funzioni che lo vedono protagonista. Ogni deviazione dallo standard è mancanza di rispetto per il cane. Allevare è però compito complesso. Tenere insieme tutti i molteplici aspetti che selezionano il cane è, spesso, troppo difficile ed ecco che pseudo allevatori, con motivazioni che non li giustificano affatto, scindono la complessità in operazioni semplici e perseguono le parti anziché il tutto : cane da lavoro o cane da bellezza. In questo modo abbiamo “ brave-brutte macchine”  , da una parte, e “stupidi cani da mostra” dall’altra. Hai voglia a predicare il rispetto del cane. Da questo punto in avanti tutto è sbagliato. Alcuni cani non lavoreranno mai; voi direte “poco male se vengono trattati bene”. Già, poco male; peccato che proprio questi cani trattati bene, a volte benissimo a sentire i proprietari, sono un compendio di problemi. Essere un bel cane non significa aver dimenticato lo scopo per cui sei stato selezionato; è sempre lì, magari attutito, magari avvolto da una nebbia di dimenticanza, ma è lì. Un labrador è un Labrador e continuando a considerarlo solo un esemplare da esposizione comprimiamo ogni attitudine e così facendo creiamo un ingestibile insieme di caratteristiche nelle quali ogni componente degenera, esasperandosi, sino a non identificarsi più con alcun riferimento. Produrre questo è totalmente privo di etica. E’ così che il soggetto con una tempra molto alta si trasformerà in un cane rissoso e attaccabrighe, allo stesso modo in cui un’indole particolarmente docile riverserà su se stesso lo stress da inutilità a avremo i leccamenti compulsivi che arrivano sino all’automutilazione. Esagero? Certamente non per tutti i cani si raggiungono questi estremi, ma vi assicuro che mi sono occupato di svariati esemplari in queste condizioni. All’opposto creare i così detti cani da lavoro significa sbilanciare la selezione a tutto danno dell’equilibrio: vigilanza esagerata, struttura leggera per aumentare la velocità, reattività assolutamente sproporzionata per un retriever. Risultato: impazienza eccessiva, docilità dubbia, predatorio difficilmente controllabile. Se un cane così non lavora impazzisce letteralmente e se lavora ottiene grandi risultati in mano ad addestratori senza alcuno scrupolo che in nome della performance applicano modalità di intervento che definire poco rispettose del cane è un eufemismo buonista. Ancora: un lavoro che è uno splendido esempio di intesa nel binomio uomo-cane è così trasformato dalla cinofilia ufficiale in una sorta di “tritacani” nel quale una esitazione porta alla esclusione, una manifestazione di creatività da parte del cane è aborrita come mancanza di attenzione al conduttore, ogni iniziativa che potrebbe essere un modo originale di risolvere un problema diventa il problema da risolvere.

Ciò che non vedremo mai con il dummy è la vera natura del nostro retriever e, vi assicuro, la tensione al lavoro che riesce ad esprimere un retriever di fronte ad un selvatico non è immaginabile ai fautori dei percorsi “solo dummy”.

Ciò che non vedremo mai con il dummy è la vera natura del nostro retriever e, vi assicuro, la tensione al lavoro che riesce ad esprimere un retriever di fronte ad un selvatico non è immaginabile ai fautori dei percorsi “solo dummy”.

E’ così che non ci si pone più l’obiettivo di valorizzare il cane, con i suoi tempi, con modalità rispettose del suo sviluppo, con l’attenzione dovuta alle sue difficoltà e con l’originalità delle soluzioni per superarle; è così che l’unicità di ogni esemplare si appiattisce in meccaniche sequenze nelle quali nessuno è interessato a nessuno, ma ciò che conta è solo la precisione di un’esecuzione piatta, ma veloce che non si discosti da una ipotetica perfezione che trascina con sé, distruggendola, ogni originalità e ogni autentico valore; è così che si dimentica che il cane e l’uomo, insieme, aumentano le proprie possibilità…è così che si dimenticano quindicimila anni di coevoluzione. Un’ultima osservazione: i retrievers sono cani da caccia e pretendere che lavorare solo con il dummy assecondi la loro indole è pura follia. Ciò che non vedremo mai con il dummy è la vera natura del nostro retriever e, vi assicuro, la tensione al lavoro che riesce ad esprimere un retriever di fronte ad un selvatico non è immaginabile ai fautori dei percorsi “solo dummy”.

Come vedete parlare di rispetto del cane è un discorso che viene da lontano, ma noi sappiamo anche che può andare lontano e siamo certi che c’è un altro modo di allevare e un altro modo di accompagnare tanti proprietari lungo la scoperta di quel percorso affascinante che è il lavoro con il proprio cane nell’esperienza dell’intima soddisfazione di superare, ogni giorno, una difficoltà nuova senza alcuna costrizione, ma all’interno di un’intesa che diviene ogni giorno più profonda.

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Redazione DM.it